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Regione Piemonte

I resti della villa romana

I resti della villa romana

Villa romana

I resti della villa romana, la cui costruzione risale probabilmente al I secolo d.c., si trovano in località Grange di Rivera. Il complesso sorge a mezza costa, in alto rispetto all’antistante pianura quanto basta a situarla in una posizione climaticamente favorevole e di notevole interesse panoramico, spaziando dalla morena di Rivoli, al Pirchiriano, alla montagna dell’alta valle di Susa, al Rocciamelone e alle più dolci pendici del colle del Lys.

Il contesto specifico in cui la villa di Almese si inserisce, accresce e al tempo stesso permette di meglio definire la sua importanza. La realizzazione della villa si colloca infatti nel I secolo d.C., quindi in una fase molto precoce della romanizzazione, ai margini della strada delle Gallie che è all’origine della deduzione della colonia di Augusta Taurinorum, nell’immediata prossimità della statio ad fines di Drubiaglio di Avigliana, che della romanizzazione della zona deve essere stata un punto nodale.

La villa almesina è il più grande edificio extraurbano di epoca romana dell’Italia settentrionale. I romani chiamavano villa qualsiasi residenza al di fuori delle città e le dividevano in due categorie: quelle destinate prevalentemente agli usi agricoli, dette “rustiche” e quelle residenziali chiamate “urbane”. La villa di Grange di Rivera rientra in quest’ultima categoria  perchè le sue caratteristiche ne fanno una residenza di lusso, destinata a un proprietario con notevoli disponibilità economiche e ampi possedimenti nei dintorni. La vicinanza con ad fines fa ipotizzare che fosse coinvolto nell’appalto statale per la riscussione della tassa di transito.

Il sito si sviluppava su un complesso di circa 5.000 metri quadri, articolato su più livelli e la villa era costruita su un basamento di circa 37×49 metri  e si articolava su due piani.  È stato ipotizzato che agli angoli del fabbricato si innalzassero due torri, che andavano a costituire il terzo piano. Su questo basamento si disponevano gli ambienti, la cui articolazione è solo in parte ricostruibile dalle tracce dei muri di fondazione e dai materiali architettonici rinvenuti negli strati del crollo, seguito al definitivo abbandono della villa come struttura abitativa, avvenuto probabilmente nel corso del IV secolo. Al centro un cortile di 27×30 metri detto peristilio, circondato da un portico che faceva da filtro per l’accesso ai vari ambienti della villa. Le colonne che lo sostenevano erano in laterizio rivestite di intonaco bianco mentre basi e capitelli erano in marmo valsusino.

L’ingresso, a nord, ancora oggetto di analisi da parte degli archeologi, era monumentale, con colonne in laterizio del diametro di 50 centimetri. Sul lato opposto, a sud, si apriva un porticato su pilastri, al di sopra del quale si trovava un ambulacro affacciato sulla Dora e la collina morenica. Davanti, un’area di circa 2.000 metri quadrati occupata dal giardino, le cui strutture, in gran parte scomparse, rendono difficile immaginare l’organizzazione dei percorsi e il tipo di alberi che eventualmente vi si trovavano.

Tutte le strutture erano intonacate: nel piano inferiore con intonaci grezzi, mentre al piano superiore con intonaci dipinti. Questa distinzione suggerisce una destinazione residenziale degli ambienti del primo piano, mentre il piano terra, più modesto, sembra essere stato in uso alla servitù, o a coloro che lavoravano alle dipendenze dei proprietari. I pavimenti erano variamente realizzati da mosaici, cocciopesto a scaglie di pietra bianche e colorate, semplice malta su vespaio.

La villa è stata scoperta nel 1979 e nel 1980, divenuta patrimonio dello Stato, sono iniziati gli scavi a cura della Soprintendenza ai beni archeologici del Piemonte in collaborazione, fino alla metà degli anni ’90, con il Dipartimento di Scienze Antropologiche, Archeologiche e Storico Territoriali dell’Università di Torino. Le 13 campagne di scavo sono proseguite per diversi anni e l’ultima risale al 2007. Nel 2012 sono stati effettuati interventi di restauro su alcuni intonaci e parte delle murature.

Lo scavo ha riguardato principalmente strati di macerie depositatisi nei vani del piano terra della villa, prodotti dal disfacimento delle strutture del piano superiore. Si tratta di strati di spessore fino a 2 metri, ricchi di frammenti di intonaci dipinti, pavimenti in signino, frammenti di mosaici a motivi geometrici bianchi e neri, ceramica databile fra il I e il VI secolo d.C.

Dal 2008 il comune di Almese in collaborazione con la Soprintendenza ha intrapreso un’iniziativa di pulizia e manutenzione prima, di piccoli scavi poi, attraverso l’organizzazione di stage di educazione ambientale riservati ai giovani almesini, che si è ripetuta con successo negli anni successivi. Dal 2010 la villa è aperta al pubblico che vi accede attraverso un percorso di visita realizzato col contributo della Fondazione Magnetto, aggiornato nel 2013 con pannelli esplicativi posati grazie al contributo della Finder Spa.

La villa romana è visitabile in primavera, estate e parte dell’autunno.

 

Ufficio Cultura

Pagina aggiornata il 06/03/2023

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